
La musica di Ludovico Einaudi ha attraversato confini, generazioni e linguaggi, diventando colonna sonora di vite, film e silenzi interiori. Ma chi è davvero l’uomo dietro quelle note che sembrano toccare l’anima? A rispondere è Enzo Gentile, tra i più autorevoli giornalisti e critici musicali italiani, che con il libro “Ludovico Einaudi. La musica, le origini, l’enigma” (Cluster-A) firma il primo ritratto completo del celebre compositore.
Un lavoro di ricerca e memoria che, attraverso testimonianze, incontri e ricordi personali, ricostruisce la parabola umana e artistica di Einaudi: dalle prime esperienze nelle cantine di Torino fino ai tour internazionali sold out, passando per le radici familiari, le influenze musicali e la sua capacità di rendere il suono linguaggio universale.
L’ho intervistato per ForYouMag.net, per scoprire da vicino come nasce questo ritratto inedito e quali verità si celano dietro il successo di un artista che, con la sua musica, continua a parlare al cuore del mondo.
Ludovico Einaudi è oggi un artista conosciuto e amato in tutto il mondo, eppure — fino a oggi — nessuno aveva mai raccontato davvero la sua storia in modo approfondito. Da dove nasce l’idea di dedicargli un libro e quale esigenza ti ha spinto a intraprendere questa ricerca?
Dico che ha una popolarità ormai estesissima un po’ in tutto il mondo, in questo momento si trova tra Canada e gli Stati Uniti per un tour di molte date nei teatri. Diciamo che, di lui, non esisteva finora un libro, una ricerca, un saggio, una biografia, nulla di scritto che avesse una qualche robustezza da nessuna parte nel mondo. Mi sembrava molto strano perché sappiamo i numeri sviluppati sul web, nei teatri, nei concerti, quindi c’è molta attenzione nei suoi confronti ma nulla di scritto. Allora ho pensato di provare a colmare questa lacuna anche in virtù di una conoscenza diretta che abbiamo ormai da circa quarant’anni. Senza fare un libro agiografico — perché secondo me chi scrive libri, chi fa il giornalista non deve essere un fan club — ho cercato di evitare questo pericolo e di capire come raccontare la storia di un artista di cui si sa poco, oltre alla musica che fa. Anche consultando il suo sito ufficiale e le biografie pubblicate, molte cose sfuggono e secondo me il pubblico che ne apprezza la musica oggi potrebbe essere interessato a sapere come nasce il fenomeno, da dove parte una formazione, quali erano i suoi collaboratori e anche come fosse la sua musica prima di arrivare al grandissimo pubblico internazionale. Quindi il motivo di questo libro è proprio andare a guardare, a raccontare anche dietro le quinte, soprattutto per la prima parte della sua storia musicale.

Nel libro sveli una parte di storia che ai più è sconosciuta: amicizie, incontri, viaggi, episodi che raccontano l’uomo oltre l’artista. È, in un certo senso, un modo per conoscere Ludovico Einaudi dal suo “backstage”, andando a ritroso nel tempo. C’è qualcosa che hai scoperto tu stesso per la prima volta durante questa ricerca — un dettaglio, un aneddoto — che ti ha fatto sorridere e che ti ha restituito un’immagine più “umana” di lui, lontana dai riflettori e dal mondo dei social?
Beh, guarda, chiedendo ai suoi amici d’infanzia ho scoperto che con la sua prima moglie si conosceva da quando avevano un anno, e anche quello che poi è diventato suo cognato, Andrea De Carlo, il grande scrittore che lo frequenta da quando erano bambini. E poi anche lo stesso Stefano Boeri, che firma la postfazione. Ecco, attraverso queste testimonianze e questi contributi personali, ho scoperto un bambino molto vivace, molto dispettoso, anche attivissimo ai tempi del mare, della scuola, e che poi avrebbe cominciato a occuparsi, a interessarsi di musica, nonostante nella sua famiglia, diciamo, il padre si occupasse di editoria e di libri — era infatti il grande editore Giulio Einaudi — la musica arriva invece dall’amore per il pianoforte della mamma, una pianista, però amatoriale, e un nonno che era compositore, che aveva viaggiato e lavorato molto in Inghilterra e poi in Australia.. Ecco, e quelle sono un pochino le prime tracce, i primi semi lanciati perché la musica diventasse poi la sua vita come oggi la conosciamo.
Ciò che colpisce della musica di Ludovico Einaudi è la sua straordinaria trasversalità: la ritroviamo al cinema, nei social, nei momenti di riflessione personale, come colonna sonora di viaggi o persino in contesti di denuncia sociale. Spesso, anche nei video più intensi o drammatici, la scelta ricade proprio sulle sue composizioni. Secondo te, come nasce questa capacità di attraversare linguaggi, mondi e sensibilità così diverse? E in che modo Einaudi è riuscito a rendere la sua musica così contemporanea, pur mantenendo una profondità unica?
Lui stesso è una specie di spugna, perché appunto attraversando i diversi periodi della sua storia, della sua formazione, si vede come abbia iniziato da chitarrista. Ama Jimi Hendrix, poi entrano i Beatles, e successivamente si occupa anche di jazz rock e di musica prog.”. Ci sono tante esperienze che si collegano a una sua modalità espressiva, che poi entra in un grande calderone e, in qualche modo, partecipa alla sua dimensione più nota, quella più evidente. Il pubblico si è accorto di questa facilità, di questa semplicità, tanto è vero che lo troviamo nelle palestre, nei corsi di yoga, meditazione, per danza terapia, negli RSA, negli sfondi musicali di tanti servizi televisivi o documentari, oltre al cinema, come giustamente ricordavi. La sua musica era presente anche, ad esempio, nella camera ardente di Giorgio Armani, poche settimane fa. Ovviamente non l’ho potuto inserire nel libro perché è storia proprio di questi giorni. Sfilate di moda, eventi, celebrazioni: insomma, è raccolto e applaudito un po’ a tutti i livelli. Questo è sicuramente un vantaggio per la fama, ma forse è anche molto dispersivo per una messa a fuoco, perché poi in certi casi magari le persone ascoltano una musica, ma se non c’è scritto di chi è la confondono. Però ormai è diventato un marchio: musica alla Einaudi, e ha creato anche moltissimi emuli, imitatori, non solo in Italia, c’è moltissima produzione di musica per pianoforte che prende spunto proprio dal successo di Ludovico che dai primi anni 2000 in poi è cresciuto vertiginosamente.
Il successo di Ludovico Einaudi, probabilmente, risiede anche nella forza esperienziale della sua musica. Ai suoi concerti si ha spesso la sensazione di poterla “toccare”, di sentirla addosso, come se ogni brano avesse il potere di provocare un’emozione fisica, una pelle d’oca. Pensi che il suo segreto sia proprio questo: la capacità di toccare corde profonde, senza bisogno di parole?
Sicuramente qualcuno dei miei interlocutori lo spiega. C’è stata in questi anni anche una volontà proprio nella ricerca dei timbri, nella qualità del suono, nella disposizione della musica sul palcoscenico o anche su disco, che in qualche caso prescinde proprio dai contenuti. Il messaggio è anche nella forma: pezzi spesso brevi, copertine dei suoi dischi e titoli delle canzoni che evocano una sorta di immagine, onde, nuvole bianche: ci sono davvero tanti richiami alla natura e a una vita diretta, semplice. Spesso si parla di mare nelle sue composizioni: sono elementi naturali che intervengono e favoriscono sicuramente un dialogo col grande pubblico che può ascoltare quelle musiche in momenti diversi e se ne appropria con grande intensità. Un’intensità confermata anche dagli ascolti numerici che conosciamo. Sul web ci sono valanghe di ascolti che riguardano le sue musiche.
In un’epoca in cui spesso i numeri sembrano contare più del talento, la musica di Einaudi riesce invece a entrare nelle vite delle persone in modo autentico e personale. Io stessa, per esempio, ho scelto un suo brano in un momento molto intimo, scoprendo quanto la sua musica possa diventare una forma di psicoterapia, di conforto e di connessione profonda. Nel libro racconti anche di un viaggio in Africa, dove natura e suono sembrano fondersi in una dimensione quasi spirituale. Da amico, scrittore e osservatore della sua storia, qual è stato per te il momento in cui hai capito che era necessario raccontarlo? Cosa ti ha fatto dire: “Ecco, questa non è solo la storia di un grande artista, ma un capitolo fondamentale della musica contemporanea italiana”?
Certo, mi sono accorto che la sua musica arrivava a molte persone, ma era allo stesso tempo divisiva, perché, ad esempio, nel mondo della musica classica da cui proviene, ci sono molti sospetti e molti dubbi sul pianista, sul compositore che, in qualche modo, si è allontanato dai suoi studi e dalle ambizioni del conservatorio e di alcuni insegnanti di grandissima fama. Allora mi sono chiesto se questa separazione, anche nel pubblico, non nascondesse un motivo per indagare un po’ di più e quindi per capire: nel sottotitolo, infatti, parlo di ‘enigma’, perché Ludovico Einaudi, per molti, rimane un enigma. Il suo successo è ovviamente incomparabile, è indiscutibile ed è acclarato ma ci si chiede perché, che cosa c’è dentro, qual è la formula, come nella Coca-Cola o in alcuni sapori che amiamo, che lo rende invincibile e migliore di tutti gli altri. Per fare questo ho messo in campo un po’ la mia memoria, le mie esperienze, anche — come dicevi — legate ai viaggi, perché siamo stati insieme due volte in Africa e io lì ho visto molto da vicino quale fosse l’interesse, il gusto per assorbire alcune sonorità, alcuni linguaggi che erano distantissimi dai nostri, italiani ed europei, e che però sono poi entrati nel tempo anche dentro la sua musica. Quindi ecco questi spiazzamenti, nonostante, appunto, lo conosca bene, mi sembravano molto stimolanti per condurre un viaggio all’interno del personaggio, non solamente dei suoi dischi e dei suoi concerti che pure vedo, che conosco e che ho frequentato spesso, ma che ci fosse ancora qualcos’altro da capire, e questo mi ha ovviamente incuriosito.. Un giornalista deve essere portato a studiare oltre che a esprimersi e quindi se uno indaga, approfondisce, poi trae delle conclusioni o comunque il piacere di esternare. E questo è accaduto per queste quasi 200 pagine.
Un’ultima domanda, Enzo. Da oltre quarant’anni analizzi e racconti il mondo della musica in tutte le sue sfaccettature. Oggi assistiamo a una corsa frenetica verso la visibilità immediata: talent show, social network, streaming, numeri che diventano obiettivi più che risultati. Nel libro, invece, descrivi Ludovico Einaudi come l’antitesi di questo modello: un artista che ha costruito la sua carriera con pazienza, studio e costanza, partendo dalla gavetta. Cosa diresti oggi a un ragazzo di 15 o 16 anni che sogna di fare musica ma rischia di perdersi inseguendo solo la velocità dei numeri? Qual è, secondo te, la lezione più importante da trasmettere alle nuove generazioni che vogliono davvero costruire un percorso duraturo nel tempo?
Guarda, io ho cominciato effettivamente cinquant’anni fa, quindi è davvero un’ubriacatura quella che mi sono concesso attraverso le musiche più varie, perché mi sono occupato di rock, di jazz e, ora, di musica italiana, di suoni tra i più diversi. Ma è la passione quella che conta. La fretta non è una buona consigliera. Se qualcuno vuole occuparsi di musica suonando, io sconsiglierei caldamente di fare una cover band, che magari consente di suonare un po’ nei locali e di acchiappare anche un po’ di pubblico. Perché se uno suona i Beatles, o i Nomadi, o i Nirvana, o le decine di altri gruppi, sicuramente qualcuno lo ascolta, ma non sviluppa un proprio pensiero — che però deve esserci. Uno non può imporsi di essere un campione di calcio solamente perché gli piace il pallone: devono esserci anche un minimo di talento, di studio e di applicazione. Questo, in tutte le dimensioni del lavoro e del sapere. Bisogna sforzarsi un po’, perché talvolta capita di pescare il biglietto della lotteria e quindi agguantare anche una fortuna immediata, ma poi quella fortuna va coltivata. Nessuno dei grandi che conosciamo, o di coloro che valgono, ci è arrivato grazie al solo intuito: c’è moltissimo lavoro, moltissima fatica e un impegno che non può svanire quando uno raggiunge un traguardo. Ce n’è un altro che, senza ansia né prevaricazioni, però va inseguito — e questo, secondo me, va sempre tenuto in grande conto.